mercoledì 23 aprile 2014

Un rifiuto

Un rifiuto è un no.
È quello che succede quando uno fa una proposta e un altro non la accetta: un rifiuto.
O quando qualcuno butta via una cosa che non gli serve o non vuole più: un rifiuto.
Accade anche se si esclude qualcuno da un gruppo: un rifiuto.

A volte i rifiuti sono positivi e anzi doverosi: ciò che non è buono va rifiutato.
In altri casi i rifiuti sono egoisti: rifiutiamo altre persone, altri concetti, altri stili di vita, e tiriamo avanti da soli con le nostre convinzioni, senza chiederci se siano giuste o sbagliate.
Poi capita di rifiutare anche noi stessi: quando ci sottovalutiamo, ci scoraggiamo, non osiamo per paura del giudizio degli altri, o non sappiamo perdonarci uno sbaglio.

E poi ci sono i rifiuti nel senso di pattume, quelli che ho visto per strada stamattina andando in stazione e mi hanno spinto a scriverlo, finalmente, questo post. Penso alle persone cui la "roba che non mi serve" fa talmente schifo che la lanciano per strada, si rifiutano perfino di riporla al proprio posto nel cassonetto o nel cestino. Questo tipo di rifiuto è psicologico: quando l'oggetto che non serve si trasforma istantaneamente in un "bleah" che ti fa senso perfino portarlo da qui a lì, quando non ti prendi l'impegno di mettere una cosa dove deve stare (perché anche se a te non occorre più c'è comunque un luogo appropriato in cui metterla), il rifiuto è il tuo atto, più che l'oggetto.

Possiamo buttarla sull'ambientalista, oppure possiamo pensare alle persone e all'accoglienza: dopotutto ci sono tante "cartacce umane"... Mettetela come vi pare. Un rifiuto è un no; e a chi, quale oggetto o quale concetto diciamo no, c'è da pensare.

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